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35 anni dopo, ….come la prima volta.

  • giuseppeaurea
  • 27 ott 2010
  • Tempo di lettura: 3 min

Ritornare a Muhanga è sempre come ritornare a casa.

Ma devo dire che anche la partenza dall’Italia é dura!

non per le belle comodità, che proprio non mi interessano;

ma per gli affetti, gli amici…: li devi lasciare!!!      Come siamo complicati!


Muhanga, con il sorriso dei bimbi, che molti di voi hanno apprezzato, e la gioia delle mamme, ti rende meno duro il distacco; forse la vecchiaia ci rende sclerotici, ma anche… più teneri.

Purtroppo tutte queste bellezze sono guastate da altre presenze: uomini armati, non pagati, affamati…; tutti i giorni sono capre e maiali  che se ne vanno (pure loro!) al campo dei militari! Ovviamente, rubati.

Per crescere un maialino ci vuole almeno un anno, e su di esso tutta una famiglia fa progetti: una coperta, un vestito nuovo, il matrimonio per il figlio…; e tutto scompare in una sola notte!

Venerdì mattina, alle 6, Janvier va a portare cibo al suo maiale; non lo trova. Si fa aiutare dai figli e seguono le orme…, altri uomini si mettono insieme.

A qualche km lo trovano morto, nascosto fra il fogliame; non c’è altro da fare, lo tagliano a pezzi  e lo portano a casa; i vicini lo comperano a pezzettini; e per quel giorno i più contenti sono i figli di Janvier: hanno mangiato la carne!

Ma non finisce lì; visto che i militari, il capo e i suoi accoliti non lo  potuto assaggiare… vogliono metter in prigione Janvier, perchè ha scavalcato le autorità !

Convocazione e tribunale; per fortuna molta gente ha solidarizzato con Janvier e alla fine  lo hanno rimandato a casa.

Anche questo capita a Muhanga: perchè ha reclamato i suoi diritti !

Purtroppo, per paura e rassegnazione, non tutti osano: così è stato per Andrea, Kibarua e quanti altri…, subiscono, tacciono e tornano a casa.


Vi prego, non fate troppi commenti facili su queste “rassegnazioni”.

Bisogna provare che cosa sia essere povero e vivere qua !

Tragico non è il silenzio a Muhanga, ma il silenzio altrove !!!

Noi restiamo insieme, nella speranza che la giustizia  torni.

Concetta


Da quando avevo 17 anni desideravo andare in Africa… Ora, a 32, per un intreccio di casualità finalmente sono qui in RDCongo e più precisamente a Muhanga.

Volevo conoscere di persona: si parla, si ha timore, sembrano cose lontane, …è bene lasciarle lontane.

Sui nostri giornali si legge di guerriglie, povertà, violenze. Solo brevi trafiletti che ti passano sotto, ormai inosservati.

Fa parte del mondo di oggi, è la “normalità” in queste zone per noi così remote.

In realtà sono venuta qui senza aspettative: non volevo crearmi illusioni, e mi sono ritrovata in un villaggio dove la gente cerca di portare avanti la vita, semplice ma essenziale, anche attorniata da fucili.

Vivono di coltivazioni, di piccolo commercio e di ciò che la Missione ha potuto realizzare.

Stare in mezzo a queste persone che ti accolgono come se fossi l’ospite tanto atteso, felici di averti fra loro e farti sedere tra loro, ti fa sentire di casa.


Ho aiutato la gente durante il “salongo”, giorni di lavoro del villaggio e per il villaggio; ti riempi di stupore nel vedere la bellezza della catena umana. Qui i mezzi meccanici non ci sono: uomini e donne, con i bambini sulla schiena, portano sacchi di terra, zappano terra, tutti i giorni.

La collaborazione pura che da noi non esiste quasi più.

Tutti i bambini crescono in un’autonomia incredibile: i fratellini più grandi si occupano dei più piccini con le stesse attenzioni che può avere un genitore. Giocano con loro; e se il piccolino non sta bene, lo tengono sulla schiena e stanno in disparte osservando gli altri che giocano. Si divertono con poco, e quel poco viene sempre condiviso con gli altri.

Una sera i bimbi mi hanno fatto molte domande, mi ha fatto sorridere. Fra le altre, mi hanno chiesto se avevo figli, e quanti anni ho. Rispondendo di no alla prima, si sono stupiti: alla mia età!  molto spontaneamente mi han detto: “Allora sei nonna!!”   Qui a 20 anni sono già genitori di almeno due figli ed autonomi nel lavoro e nella gestione familiare.

Vedere e vivere di persona tutto questo, ti fa capire la nostra vita. Abbiamo davvero tantissimo… troppe cose inutili.  

Abbiamo perso tutti ciò che è più importante, i veri valori, e non siamo soddisfatti, mai contenti. Non apprezziamo ciò che abbiamo.

Credevo che venendo qui avrei potuto essere d’aiuto; in realtà, ciò che sto ricevendo ha così tanto valore che non saprei nemmeno come ripagarlo e ricambiarlo.

Sono felice che ho scelto di vivere questo tipo di esperienza e ringrazio chi mi ha dato la possibilità che si realizzasse questo mio piccolo grande sogno.

Silvia

Carissimi Carla, Peppinho, Debora, Matilde, Annamaria, Annalisa, Lia, Nicky…  benvenuti nella grande famiglia d’Africa, cioè la famiglia senza barriere.

Un rabbino dice che quando un uomo arriva nell’altro mondo gli viene domandato: «Chi è stato il tuo maestro e cosa hai appreso da lui?».

Chi insegna, dice.     Chi dice, mostra.

Anche Dio nel farsi uomo ha scelto l’identità sociale di “maestro”.


 
 
 

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