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Un albero lo si riconosce dai frutti

Marina di Priocca ha conservato una vecchia foto, e me l’ha mandata.








Siamo a Kiringye, nella piana dove scorre il fiume Ruzizi che collega i due laghi, il lago Kivu a nord ed il Tanganika a sud; è lì che poco tempo fa è affondato un battello con buon gruppo di persone, in silenzio.


Un bel salto indietro!

Non soltanto del nonnino nostalgico, ma un’occasione per fare un confronto; la storia può sempre darci qualche stimolo.





Nel gennaio 1971 questo piccolo miscuglio di trentenni e ventenni, esperienze vissute a Parma, Cesena, Milano, Pinerolo, partì con un obiettivo comune: “andiamo a vivere in Africa “.

Nei campeggi estivi di Cà nostra, nelle riunioni di Azione Cattolica e nei conventi delle Giuseppine si parlava molto e di tutto: tanti sogni! anche Marina ne aveva.

Non dico che tutti volevano partire per l’Africa o il Brasile, certo che no! ma è anche vero che non eravamo gli unici, gli eroi, il caso eccezionale.

Tre siamo di Pinerolo: Guido meccanico, Rosa appena maggiorenne, che si era preparata sulla lebbra, ed io della parrocchia Madonna di Fatima, incoraggiato da colui ch’era stato il parroco precedente, d. Giovanni Barra.

Da Milano, Ezio ingegnere laureato di fresco, Letizia insegnante di lettere, che si era licenziata per partire verso l’Africa.

Il saveriano p. Meo, capo gruppo, l’unico ch’era già stato qualche giorno in Africa.

Hubert coi suoi due compagni, tecnicamente preparati per smontare e rimontare una riseria ed un oleificio.

Tutta gente normale, gente comune.

Il Vescovo di Uvira che ci accolse era un saveriano italiano.

Partivamo da esperienze varie, vissute qua, ed avevamo sogni comuni.

Anzitutto respiravamo tutti quell’aria carica d’ossigeno: del dopo -’68 e il dopo-Concilio: creatività, novità, cambiare il mondo:

*andiamo in AFRICA! : Africa voleva dire realtà ricca di vita, naturale, genuina

*vivere quest’esperienza INSIEME, in una piccola comunità

Da questo lancio iniziale, carico di energie:

nacquero anche percorsi diversi: Kiringye, Bunyakiri, Lukanga …

non divisioni ma fertilità, orizzonti infiniti

Per me questo fu come un noviziato.

Di lì nacque, due anni dopo, un altro gruppo per l’esperienza di Lukanga e Muhanga.


Per me, e penso per tutti, questi anni passati in Africa sono stati eccezionali, meravigliosi, un vero regalo di Dio.

Con una precisazione: un regalo di Dio, ma anche fatto da uomini.


Per cui oggi dico: sì, grazie a Dio, ma anche grazie alle scuole di quegli anni, grazie alle parrocchie di quegli anni, grazie alle famiglie, ai giornali, associazioni di quegli anni.

Fu la società del 1970 che produsse questi frutti, questi gesti.


Una lettura seria della storia dice questo.


Tanto è stato bello che dico, regalo di Dio!

Tanto é stato possibile che dico “grazie” a Pinerolo, Parma, Milano, Cesena… società umane.




Questa terra io credo sia opera d’una intelligenza straordinaria, e di un Amore misterioso, reale.

Né artificiale, né casuale.


Ma credo pure ch’essa é nelle nostre mani, siamo noi che ne abbiamo cura; quindi, in un certo senso ce lo facciamo come vogliamo, nel piccolo e nel grande.

Proprio gli anni passati in Africa me lo hanno confermato.


Lukanga era un mazzetto di villaggi lasciati a sé, dimenticati.

Muhanga ce la siamo costruita noi, da zero: con quella dozzina di giovani uomini “vivi”:

Joseph Mwenge, David, Janvier, Ndotole, Marco, Willy, Felix, Katembo.


Piccole società che riescono a conservare i propri valori, dentro il grande mondo:

mondo conteso, dominato, in mezzo ai fucili e sotto dittature; soffocati da economie e finanze che osano definirsi democrazie; grossi titoli che nascondono realtà opposte…

Ogni società produce i suoi frutti.

Qualcuno diceva : non si raccolgon fichi dalle spine…, un albero lo si conosce dai suoi frutti.


Tempo fa ho pubblicato su watshap un video: alcuni giovanotti che estraggono dalla cabina d’un camion il corpo carbonizzato dell’autista.

Un’immagine orribile! un fatto capitato sulla strada di Kasindi, in Congo; un’immagine che i bambini del NordKivu vedono, coi loro occhi senza protezioni, ogni giorno.

Un’amica di qua, ha reagito così:

Perché in questo gruppo già sensibile fare vedere immagini violente? già lo sappiamo...

E perché è bruciato?

Preferisco questa da Kalehe (un bimbo che gioca).

Capisco, tale reazione.

Ma non la condivido.

Perché ?

Primo perché non vedo simili reazioni, di fronte ad immagini e violenze immensamente peggiori; per esempio nei numerosi filmetti in tv, tutte le sere.

E poi perché oggi non accetto più ad occhi chiusi i canoni di buon comportamento della cultura occidentale (luoghi comuni, stereotipi)

privacy - sensibilità - buona educazione - rispetto - non turbare

volti di bimbi bianchi protetti con nebbiolina

e i bimbi neri con bave e mosche

regole e canoni, imposti e ingenuamente accettati

Delicatezze che coprono ipocrisie. Senza che ce ne accorgiamo.


Siamo in una foresta, e tra gli alberi bisogna sapersi districare.

Le cronache, leggiamole con attenzione!

I fattacci: 14 coltellate…, 17 anni…, bimba rapita,...; ci sconvolgono !

ma non sono gesti di un delinquente, d’un maniaco o squilibrato….

che va ricercato e punito: per giustizia !

Sono “frutti”, prodotti da questa società, che ci siamo fatti

(o ci siam lasciati fare).



Anche questo nostro piccolo blog può diventare un’aula di discernimento: ricerca e confronto con calma, rispetto e serietà.

Non possiamo oggi accettare impunemente tutte le offerte della pubblicità.

Io non vado in pubblicità, anche perché non bramo, né cerco i loro soldi.

Il “buon-senso” dei nostri nonni non esiste più; tocca a noi ricuperarlo.

Proviamoci.

padiri G


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