Sogni di un colonello
- giuseppeaurea
- 30 apr 2013
- Tempo di lettura: 4 min
Ieri ho chiaccherato a lungo con un giovane colonello d’un gruppo ribelle. Fa parte del quadro in cui viviamo ; visto che siamo nel nord Kivu, nell’est della RDCongo.
Abbiam parlato di scontri : possibili, o programmati…
Gli ho chiesto se possiam farci un 300 km senza troppi rischi.
Per chi non lo sa, questa settimana deve iniziare l’intervento dell’Onu in queste zone, intervento non difensivo ma di attacco : 3.000 soldati in più per snidare e neutralizzare tutti i gruppi ribelli. Sparatorie e morti, e fuggi fuggi.
Io credo che certi problemi vitali non abbiamo il diritto di delegarli a nessuno, a nessun presidente, tanto meno ai generali…, che a loro piaccia o non piaccia, ed allora anche nel nostro piccolo cortiletto abbiam parlato di tante cose ; mi sembra normale che tutti dobbiam dire la nostra e dobbiam spingere a soluzioni senza scontri e senza morti, anche con chi ha il fucile in mano.
Abbiam parlato delle nostre immense ricchezze che alla gente potrebbero portare scuole, ospedali, un bel campo da coltivare, e …un po’ di pace ; ed invece non portano neppure mezzo chilo di fagioli, ma solo strade disastrate, fuga, paura e fucili.
Con la pace tutto cambierebbe.
E lui mi dice : pensa, io colonnello (con la pace) potrei fare un bel viaggio di quattro giorni a vedere l’Europa; quanto costa un viaggio… ?

Quanto si viaggia, oggi !
Lascia una volta la macchina, e vai in stazione, o all’areoporto; sono sempre strapieni.
Un’infinità.
E quanta gente viene anche in Africa. Per turismo, per grossi affari, per vedere e incontrare.
In tutto questo vai-e-vieni, si porta via un po’ di tutto :
– Belle foto di paesaggi, animali, persone : tutto bellissimo.
– Frutta, prodotti agricoli, legnami, minerali : i supermercati ne son strapieni.
– e si lascia qualche dollaro.
Ma ci anche chi viene e :
– forse lascia anche lui qualche dollaro,
– ma lascia una grande traccia di fraternità
– semina un po’ di speranza
E specialmente, porta via un messaggio. Non ne sono ancora pieni i negozi, ma gli resta dentro ; si trasmette in qualche piccolo gruppo, cambia qualche comportamento.
La penna l’ha usata qualcuno più dell’altro, ma il sentito è di tutti e tre :Alessandro, Christen e Francesco.

terzo giorno in Africa…terzo giorno a Muhanga. Il mio cuore gioisce e lacrima allo stesso tempo: prendere coscienza di tante ingiustizie mi divora l’anima, fa male sentirsi responsabili di ciò che vedo…
e mentre sto lì a chiedermi nella mente ancora il perché, eccolo qui come a consolarmi Katembo, un piccolo angelo nero, tutto sporco e con una magliettina grande e stracciata, sempre lì pronto a darti la mano, a darti i suoi occhi, a darti la purezza del suo cuore. Che strano, io occidentale sono responsabile-complice della sua povertà e lui mi ama…vuole stare tra le mie braccia. Quante cose devo ancora imparare : è lunga la strada.
(Alessandro)

Sono passati quattro anni dal mio primo viaggio in Africa e ricordo ancora una delle prime frasi che ho sentito pronunciare dal Padiri G.
Eravamo a tavola e si parlava di cosa volessero dire le parole: “aiuto” “solidarietà” “fraternità”, accorgendoci che queste parole neanche esisterebbero se il mondo non fosse così “inquinato”, così impegnato nel costruire muri materiali, che non fanno altro che separare le persone anziché avvicinarle. Giovanni disse: “Il mondo costruisce muri, quando si necessita di ponti”. Una frase analoga l’ho sentita pronunciare qualche giorno fa anche da Papa Francesco e così sono tornato a riflettere su cosa sia un ponte. Un ponte è un missionario che va e che riporta quella sua esperienza a chi non sa.
Un ponte è chi decide di partire in missione dopo aver ascoltato quelle esperienze. Un ponte è chi traduce un discorso. È chi si adopera per “facilitare”. Chi mette la propria passione e le proprie scelte a servizio di altri. È la conduttura che unisce la pompa al rubinetto, ma che necessita di acqua, di passione, di volontà e ispirazione. Un ponte è un braccio teso verso “l’altro”. Se poi dall’altra parte c’è una sponda o un altro braccio è la stessa cosa. Se invece dall’altra parte si trova un muro bisogna far si che quel braccio non sia il solo ad affrontarlo; c’è bisogno che a quel braccio se ne aggiungano altri.
(Christien)

Appena abbiamo l’occasione o ci sentiamo troppo sporcati dal mondo occidentale, facciamo il biglietto d’aereo per venire qui a Muhanga. Il viaggio non è per niente semplice. Basti pensare che dopo che hai preso due aerei e finalmente riprendi il tuo bagaglio ti mancano ancora tre giorni di viaggio per arrivare a destinazione.. per arrivare a Muhanga. Muhanga sembra il vero paradiso in terra. Altro che palme, cocktail, bikini, spiagge e sole. Per carità ognuno è libero di poter dare la propria definizione di “paradiso”..persino chi è lontano dalla fede.
Ma quello che trovi.. e vedi.. e vivi qui, ti sconvolge dal di dentro.
ospitalità – accoglienza – educazione – dignità
La loro dignità è così viva da nascondere la realtà in cui loro vivono: la guerra.
Vai via di qui con la sensazione che loro stanno bene, che a loro non manchi niente. .che questo sia il paradiso.
Ma come si può chiamare “paradiso” un luogo dove l’infante cammina carponi accanto al soldato col mitra in mano..
Dove il telefonino che hai in mano è costato il pasto di molti di questi bambini e forse la morte di qualche padre ?!?
Allora capisci che la serenità che avverti in quelle persone è figlia solo della loro immensa Dignità.
Dignità nel non voler permettere a nessuno di fermare la voglia di lavorare il campo, di crescere un figlio, di accogliere un amico venuto da lontano.
Occidente : radice e causa della loro tragedia !
Qualcuno mi ha detto: ” Queste persone sanno vivere il paradiso dentro l’inferno “.
(Christien)

Seminate !
Nasce un mondo nuovo.
Padiri G
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