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UNA MATTINA, come tante altre

Giovedì, una mattina come tante altre, anzi come tutte le altre.

Ho dato uno sguardo veloce a due giornali italiani, su internet; poi ho letto il brano di vangelo che ci viene proposto alla Messa. Scendo dalla nostra collina per risalire quella che va verso l’ospedaletto e il salone- chiesa.

Messa di domenica 17 luglio

Una bimbetta di 4-5 anni scende portando un cestino visibilmente pesante, é stata dalla mamma ricoverata. Una donna anziana sale con me, con sulla schiena un fagotto: guardando la sagoma dell’involucro intuisco che dentro ci sono grosse pietre. Difatti me lo conferma lei:

– porto le pietre al dispensario, poi vengo anch’io a Messa .

Quella mamma la conosco, ma non so come si chiama.

Vogliamo costruire ancora un reparto, e stiamo cercando di organizzare il meglio possibile la gestione dell’ospedaletto, con le forze che abbiamo. Quando questa donna verrà a farsi curare, e le presenteranno la fattura da pagare , purtroppo molti altri non sapranno il suo nome, e molti di più non ricorderanno queste pietre bagnate di sudore e di preghiere.      Càpita ….


tenerezze di bimbi

Alla Messa condivido qualche commento sul Vangelo:

   – “perché parli in parabole…? chiedono a Gesù.

   – “perché, … a voi è dato di conoscere, a loro, no.”

E poi spiega chi sono i “voi” , e chi sono “loro”.  

“Voi, cioè i piccoli, la gente semplice, con cuore aperto, quelli che sono legati alla vita più che alle cattedre e ai canoni.

“Loro”, cioè i grandi, quelli che si sentono intelligenti, che si sentono potenti, quelli che sanno sentenziare su tutto e fanno le leggi per tutti.

Dio parla con parabole, con esempi, con i gesti quotidiani…, non con discorsi e ragionamenti complicati. Ed allora ho pensato a quella mamma con le pietre sulla schiena ed alla bimbetta di 5 anni che porta un po’ di cibo alla mamma ricoverata.

Mentre parlavo, io ero dritto in piedi e vedevo davanti a me proprio loro, “i piccoli”, ed ho visto Sokoni, seduto lì sulla terza panca.

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Immediatamente mi é venuto un ricordo.   L’anno scorso più di cento famiglie si erano riversate a Muhanga, perché i ribelli armati divenuti dinuovo insopportabili razziavano nei dintorni e nei campi; nessun centro di accoglienza, né centro di ascolto, ma si aprirono le capanne …; decidemmo allora di andare presto a Butembo (a 150 km) per comprare qualche coperta coi soldi che gli amici mi mettono sempre in mano. Marcelina disse che se qualcuno intanto aveva qualcosa poteva metterlo a disposizione; ricordo bene proprio Sokoni, con la più grande semplicità disse: “a casa ho una coperta, la vado a prendere”.

Ve l’assicuro non si trattava di una coperta ben ripiegata, conservata dentro l’armadio con naftalina.


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Su “La repubblica” ho letto un articolo di Paolo di Paolo, una riflessione interessante.

Il terrorismo cosiddetto internazionale annoda vite lontanissime, ritaglia pezzi di carte geografiche, li accosta in modo delirante, li incendia.  

Fatima marocchina… Adija infermiera algerina… le sorelle Chrzanowska… l’italo-americano Nicolas… la famiglia Copeland del Texas…

C’è un tratto surreale, da cabala folle, in questa brutale realtà: biografie come impazzite piombano senza logica in una dolorosa conta.

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Ma alla fine mi son chiesto “ e allora ?”, e non ho trovato nessun seguito, nessuna risposta: emozioni, sentimenti fine a se stessi.

Diagnosi lucida, perfetta; ma anche un po’ sterile.

Mi sembra che l’autore si senta in crisi, crisi totale!


E’ già molto che questo commento non suscita rabbia, o sete di vendetta, o voglia di altro sangue.   Come tanti altri.

Ma chi è che non si sente in crisi?     E allora ?

Il Vangelo ne propone di risposte, c’è un seguito; però Dio parla in parabole, con fatti vivi: la coperta di Sokoni, una bimba che entra nella vita con serietà, una capanna aperta, una mamma che trasporta pietre e non rivendica diritti o sicurezze, né chiede altri fucili, altro  sangue.


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Una società disposta a rinunciare ad una libertà essenziale per acquistare un po’ di sicurezza temporanea, non merita né l’una né l’altra, e le perderà entrambe.

Lo scriveva Benjamin Franklin, colui che inventò il parafulmine.   Conosceva il pericolo dei fulmini e si industriò per prevenirli e neutralizzarli, senza bisogno di sparare altri fulmini.

Sagge riflessioni, da stampare sui giornali di oggi.

Pensiamoci bene, prima di invocare catene, muri e fucili.

Grazie Benjamin !

Padiri G

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